A proposito dei Cinti,

01.03.2014 14:25

Vogliamo pubblicare un articolo uscito sul " Quotidiano della Basilicata" a firma dell'Ingegner Innocenzo Bronzino. L'articolo intende approfondire le tematiche della storia di Grassano prendendo spunto dalla pubblicazione di un libro della studiosa Pellettieri sui Cinti. Il tema affrontato rientra nella problematica che noi di Vox Populi vogliamo portare avanti ed è anche un invito a noi giovani a leggere i libri che affrontano la storia del nostro Paese ( sono tantissimi). 

 

         I CINTI, LE GROTTE e I LAMMIONI di Grassano

                                                      

Per molto tempo si è saputo poco o nulla della storia di Grassano. Negli anni ’50 e ’60 del secolo scorso si sapeva solo che Grassano era un paese giovane. Il più giovane fra quelli limitrofi, quindi non poteva avere storia. In verità, però, in quel tempo circolava una storia fantastica che sembrava più una leggenda, una disperata ricerca di identità per un paese che stava cancellando tutte le tracce del suo passato: il Purgatorio, il “Lume” con annessa “Preta Tonna”, le pavimentazioni in ciottoli, la Porta del vecchio paese e infine anche la “R’llogg’” (l’orologio) della Chiesa Madre. Era il periodo del modernismo. Quando si scambiavano mobili vecchi e oggetti antichi con prodotti in plastica e formica. Quando anche la toponomastica subiva l’influsso modernizzatore: Puntone diventava piazza della Repubblica, Piano S.Domenico piazza della Libertà, Vigna del Duca Rione Gramsci e Capo la Serra via Divittorio. In quel periodo qualcuno ancora raccontava che i Cavalieri di Malta, di ritorno dalle Crociate, si fermarono sulla collina del Casale di Grassano, allora tenimento di Tricarico, e dettero inizio alla costruzione di un castello in cima al colle. Attorno a quel castello si sviluppò Grassano e su quel castello, che i Cavalieri successivamente abbandonarono, i suoi abitanti costruirono la loro Chiesa Madre. Sembrava una leggenda. In realtà era la storia di Grassano trasmessa oralmente di generazione in generazione da quando i Cavalieri lasciarono Grassano ( 1810 data della soppressione dell’Ordine Cavalleresco ) e che la maestra Sassano raccontava ai suoi alunni agli inizi del ‘900. Una storia che cominciò ad avere conferme documentate negli anni 70 a seguito degli studi e delle ricerche che il prof. Giovanni Bronzino con la collaborazione della prof. Carmela Biscaglia condusse per le fonti documentarie sulla storia di Tricarico ( po conclusi con la pubblicazione dei poderosi Codex Diplomaticus Tricaricensis e Liber Iurium della città di Tricarico). Da quelle ricerche si scoprì che una delle chiese in agro di Tricarico, la chiesa della SS. Trinità, in realtà era della Commenda dei Cavalieri di Malta di Grassano subentrata al disciolto Ordine dei Templari. Da lì partirono ulteriori ricerche presso gli archivi di Montevergine, Napoli e Malta che certificavano la presenza dei Monaci Guerrieri a Grassano. L’interesse andò via via crescendo e molti si dedicarono con passione, e senza finanziamenti, alla ricostruzione della storia di questo paese a cui già si era dedicato il prof. Gaetano Ambrico. Alfonso Pondrandolfi, Innocenzo Pontillo, Domenico Bolettieri, Giovanni Abate, Cosimo Damiano Fonseca e, infine, Antonella Pellettieri e Marcello Corrado con il volume “Grassano e i suoi Cinti” (finanziato da un PO FERS 2007-2013) hanno contribuito a delineare organicamente i passaggi fondamentali dell’evoluzione del nostro paese. Certo ci sarebbe ancora molto da approfondire. Magari con borse di studio per tesi di laurea. Così come si augura la Pellettieri: l’Amministrazione Comunale e i cittadini possano trovare idee e spunti per valorizzare ulteriormente il loro paese. A cominciare dal principio. Quando i Cavalieri scelsero il colle del Casale di Grassano per il loro insediamento. Perché proprio Grassano? Sicuramente perché offriva condizioni ottimali. Era un colle libero da altre presenze, era baricentrico rispetto alle 19 grancie da amministrare, presentava in sommità uno spesso strato di conglomerato che assicurava da un lato stabilità e dall’altro protezione naturale. Inoltre era posto sulla via dei pellegrini, la via che dall’Italia e dall’Europa portava ai porti di imbarco per la Terra Santa. I Cavalieri di Malta erano monaci guerrieri detti anche Ospedalieri o Giovanniti o Gerosolimitani. Erano un baluardo della cristianità con il compito di difendere il Santo Sepolcro e i territori dalle invasioni dei saraceni, proteggere e ospitare i pellegrini. Per questo fissarono la sede della Commenda su questo colle che era protetto tutt’intorno da mura di cinta naturali: i Cinti, che delimitavano tutto il perimetro dell’insediamento. A nord con i cinti ancora visibili e a sud con i cinti attualmente inglobati nelle costruzioni di Corso Umberto e via Vittorio Emanuele. Fino al 1700, quando il paese era tutto arroccato sui conglomerati, anche il versante meridionale aveva i suoi Cinti e le sue grotte da Puntone alla Chiesuola. Poi il paese si sviluppò e cominciò a scendere a valle. Le nuove costruzioni, lungo la via Piazza (l’attuale Corso Umberto), inglobarono le grotte e mascherarono i Cinti meridionali. Ogni fabbricato e ogni claustro del corso Umberto ha alle spalle, sotto i conglomerati, una sua grotta. Quindi in origine il casale di Grassano, assegnato ai Cavalieri, era pieno di grotte che servivano per la conservazione dei prodotti, per il ricovero di animali e fors’anche per ospitare pellegrini. Al loro interno c’erano, e in alcuni casi ancora vi sono, i segni della loro appartenenza alla Commenda: la croce dei Cavalieri, presente anche in due grotte isolate in viale della Rimembranza fuori dal circuito dell’attuale zona Cinti. Grassano era delimitato dai cinti e pieno di grotte dal suo impianto. Però i cinti sono una cosa e le grotte un’altra. Le cantine di Grassano si chiamavano, si chiamano e si chiameranno grotte e non Cinti come invece si afferma nel volume “Grassano e i suoi Cinti”. I cinti sono le pareti verticali di conglomerato. Infatti vi sono cinti a S.Angelo a S.Antuono e nei paesi limitrofi. Questo per evitare di trasmettere alle nuove generazioni equivoci e confusione.La permanenza dei Cavalieri a Grassano si protrasse per circa 500 anni dalla fine del 1200 fino a tutto il 1700 per concludersi definitivamente nel 1810 con la soppressione dell’Ordine. Ma già sul finire del 1700 il Commendatore lasciò la gestione diretta di Grassano e la concesse in affitto prima a don Gaetano Federici di Montalbano poi a Francesco Paolo Materi e suo figlio Pasquale. La famiglia Materi, proveniente da Cosenza e ormai stabile a Grassano, andò via via consolidando la sua posizione sia economica che politica e praticamente subentrò alla Commenda nella gestione di Grassano per i successivi 150 anni. Da questi eventi si possono trovare le ragioni che hanno portato alla genesi di una comunità così particolare che dipendeva da un commendatore e non da un feudatario. Nata dall’immigrazione di tanti che qui trovavano un amministratore che concedeva contratti di colonia e di affitto per coltivare terreni da dissodare, suoli per costruirsi la casa e piccoli appezzamenti vicino al paese per impiantarvi vigna e oliveto e diventavano mulari, ortolani e poi piccoli proprietari. Naturalmente si creavano le condizioni per lo sviluppo dell’artigianato di servizio. Fabbri, falegnami, muratori, sellai, calzolai e sarti andavano ad innervare gradualmente una comunità quasi tutta di lavoratori autonomi. Chi veniva a Grassano non veniva a fare il salariato o il contadino del feudatario e delle famiglie a lui collegate. Veniva per iniziare un’attività autonoma. Fra le quali si diffuse e si strutturò l’impresa del mularo che costituì il motore dell’economia locale. Una micro impresa autosufficiente costituita dal mularo che con la famiglia e una coppia di muli andava a coltivare piccoli appezzamenti lontani dal paese e sparsi nel comprensorio. Interminabili colonne di muli, asini e cavalli con qualche capra al seguito partivano dal paese la mattina al buio e ritornavano la sera nel lammione (o nella casedda) che era il centro aziendale. Una struttura originale ed essenziale la cui composizione (un vano unico con volta a botte e soppalco) rispondeva a tutte le esigenze della famiglia e dell’attività. Era abitazione, ricovero degli animali e deposito dei prodotti. Le schiere di lammioni, in piano, e i filari di casedde, in pendenza, crearono un tessuto urbano compatto, armonico e rigoroso che ancora oggi viene studiato sui libri di architettura e di urbanistica.  Approfondendo questi aspetti della storia si possono spiegare alcune peculiarità di questo paese con l’agro così piccolo (4100 ha) e con tanti abitanti (8400 nel 1951) dal marcato individualismo e da sempre tutti residenti nel centro abitato.

 

                                                                                                                            Ing. Innocenzo Bronzino