Restiamo umani, ancora!

25.06.2017 12:52

                                  RESTIAMO UMANI, ANCORA!

          

Da mesi, accade sempre la stessa cosa. Ci sono dei gesti semplici e normalissimi, che, considerati all'interno di un contesto preso costantemente di mira come quello dell'immigrazione, assumono un'altra connotazione e un significato molto più importante, sovraccaricandomi di emozioni positive. Ci sono piccole storie, piccoli miracoli di bellezza umana, che avrei spesso voluto riportare a chiunque non fosse lì a goderne, anche solo per dire loro "Guardate, meravigliatevene e apprezzateli."
Non sono mai riuscito a esternare tutto quel turbinio di emozioni in un modo che gli rendesse realmente giustizia e forse non ci riuscirò al meglio neanche oggi. Negli ultimi giorni, però, ci sono stati tanti nuovi momenti che mi hanno riempito il cuore di gioia ed orgoglio e mi hanno fatto riflettere su quanto a volte basterebbe pochissimo per far del bene a chi ha meno di noi. Basterebbero pochi minuti della nostra giornata per restituire un sorriso e la dignità ad una persona che forse ha solo bisogno di ciò di cui chiunque ha bisogno, a qualunque età: sicurezza, affetto, svago, amicizia, calore umano.

Non voglio parlare di numeri, nè di politica o finanze. Vorrei che si parlasse di noi, come esseri umani, come comunità, come cittadini accoglienti e aperti a tutti, come lo siamo sempre stati. E credo davvero che, al di là dei numeri, delle divisioni politiche, delle micro e macro opinioni in merito, possiamo fare ancora tanto.

Penso a Fadi, Sudanese di 6 anni, che è stato accolto volontariamente e gratuitamente dalla scuola materna delle suore. Era una mattina di marzo, quando entrò per la prima volta in quella stanza piena di bambini, che gli sorridevano senza troppi interrogativi e nessuno di noi avrebbe scommesso che ci sarebbe voluto ritornare così volentieri. Dopo appena 4 mesi, vederlo rientrare a casa col sorriso, cantando le canzoni che ha imparato fra i banchi di scuola, recitando i versi dell'ultima recita e con un invito per il compleanno del suo amichetto, è un'emozione indescrivibile. Fadi adesso parla italiano, ama i panzerotti fritti di Grassano e anche i dolci alla crema. Gli basta poco per essere felice: il suo monopattino, il telecomando della TV per andare su Boing e qualche passeggiata alla villetta comunale.

Penso a Manik, che viene dal Bangladesh, lavoratore instancabile. Senza aiuti, nel silenzio della sua laboriosità ha costruito relazioni e stretto amicizie. Ora è conosciuto da tutti gli adulti del paese e chiunque domandi il nome di una persona che possa aiutarlo nello svolgere un lavoro manuale o fisico, il primo nome è sempre il suo. E la sua risposta non contempla mai il No!
Manik non parla nè inglese, nè francese, ma questo non l'ha fermato. A quasi 40 anni ha voluto fortemente imparare l'italiano, studiando la notte e riscrivendo pagine e pagine di parole e ce l'ha fatta.
Adesso Manik passeggia spesso con il suo amico indiano, un uomo che forse non avrebbe mai immaginato di poter parlare la propria lingua a Grassano e forse anche lui si sente meno solo. Altri giorni Manik siede ai gradini in Via Meridionale e chiacchiera con i signori del paese. Ha dei nuovi amici. E spesso si tratta di qualcuno che il resto della gente ha teso ad emarginare. Qualcuno che soffre di solitudine e che forse in quell'instancabile ragazzo del Bangladesh ha trovato una nuova amicizia.

Penso a Moise, ad Henry, a Bubacar che hanno voluto fortemente lavorare e dopo mesi ce l'hanno fatta: molti dei latticini che mangiamo sono prodotti da loro. È un lavoro duro a cui hanno rinunciato in tantissimi, ma loro no. Hanno accettato ritmi massacranti: svegliarsi alle 5 e rientrare alle 16, con pochi minuti di pausa. Sapevano quanto potesse essere faticoso, ma non si sono tirati indietro. Adesso rientrano a casa distrutti, facendo spesso 4 km a piedi sotto il sole cocente delle 12, solo per venire a ritirare il pranzo, così da risparmiare qualche spicciolo, ma lo fanno col sorriso. Anzi, Moise canta così tanto sul posto di lavoro, lì dove la gente da sempre ci è andata col broncio o assonnata, che il suo datore di lavoro crede si droghi, ma questa è un’altra storia!

Penso a Mike e Raymond, che mesi fa hanno intrapreso un cammino di catechesi e si sono perfettamente integrati nella comunità parrocchiale a tal punto che pochi giorni fa hanno ricevuto tutti i sacramenti in una cerimonia solenne a cui ha partecipato gran parte della parrocchia. Eravamo tutti lì quel giorno come un'unica grande famiglia. C'erano cristiani cattolici, cristiani coopti, musulmani, buddisti e anche atei. È stata molto più di una cerimonia, è stata una festa di tutta la comunità, che si è impegnata a guidare questi ragazzi ed ha sancito ufficialmente un'accoglienza, che avviene silenziosamente già da mesi come la cosa più normale del mondo, qual’essa è.

Penso all’affetto della vecchina che inizialmente, terrorizzata da chi faceva terrorismo psicologico, ha chiuso a chiave la porticina della sua casa, che di giorno era solitamente aperta, per poi ricredersi ed invitare a colazione George, ragazzone del Ghana, offrendogli una pizza surgelata e immaginate le risate alla vista di quella scena alle 9 del mattino.

Penso alle tante persone che si sono vergognate anche solo di aver apposto la propria firma su di una petizione che nascondeva infamia e razzismo.

Scritto così questo pensiero, oltre che noioso, può sembrare da buonista e molto semplificativo. Forse io sono un inguaribile romantico/ottimista e domani là fuori farà ancora tutto schifo. E sarà così quasi sicuramente e sarà altrettanto scontato che nessuno di noi abbasserà la guardia, o darà meno di quel che può.
Però oggi voglio essere contento di questi piccoli miracoli di bellezza umana, perché è questo che sono e forse qualcuno da lassù penserà che il suo “Restiamo umani”, ripetuto e praticato per una vita intera, non è stato urlato invano, ma da qualche parte, dove lui mai avrebbe immaginato che potesse accadere, si è realizzato davvero.

Restiamo umani, ancora!

 

Domenico Deniso